Un ricordo di quel 20 ottobre 1944

AIM Associazione Interessi Metropolitani • 18 novembre 2024
Avevo solo sei anni quel giorno. Mi affacciai alla finestra della nostra stanza all'Hotel Ambasciatori, in Galleria del Corso, a Milano. Eravamo lì perchè mio padre credeva che, vicino al Duomo, i bombardamenti non sarebbero arrivati. Pensava fosse un luogo sicuro. Eppure, nonostante la sua convinzione e il ronzio incessante di "Pippo" che ci teneva svegli ogni notte, gli alleati bombardarono anche quella zona. Alcuni edifici al Duomo furono colpiti.

Ricordo ancora chiaramente l'allarme. Il ronzio sopra la mia testa mi incuriosì, e così mi sporsi alla finestra per guardare il cielo. Quella vista mi colpì profondamente : il cielo era coperto di "superfortezze volanti", così chiamavano allora i bombardieri. Corsi subito da mio padre, che non disse una parola, ma mi prese in braccio e mi portò al rifugio dell'hotel.

Solo molto tempo dopo seppi cosa accadde quel giorno: il 20 ottobre 1944. Le "superfortezze volanti" bombardarono, per un tragico errore,  il quartiere di Gorla. Le bombe, che avrebbero dovuto colpire gli stabilimenti della Breda, dove si producevano componenti per le V1, furono sganciate troppo presto. Quell'errore costò la vita a più di 200 persone, di cui 184 bambini che si trovavano nella  scuola elementare "Francesco Crispi".

L'arcivescovo Schuster , quand seppe dell'accaduto, disse che quella era la "giornata più triste di questi cinque anni di guerra".
I "Piccoli Martiri di Gorla" ci ricordano ancora oggi, in tutto il mondo, il valore della pace e l'orrore dell'odio. Al posto di quella scuola sorge ora un monumento in loro memoria, un segno tangibile di quella tragedia.

Sono passati 80 anni da quel giorno, eppure il ricordo di quel momento in cui appoggiai il naso contro il vetro della finestra è sempre con me. Oggi ho 86 anni e mi rendo conto che quei bambini avevano la mia stessa età. Ho vissuto una vita intera con questo ricordo, un dolore che non mi ha mai abbandonato.

Carlo Lolla
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Incontriamo Ketty Agnesani, che ci mostra la danza di un pennino, caricato con inchiostro e condotto dal suo polso sapiente, per dar vita a caratteri armoniosi ed equilibrati, carichi di significato. In un mondo che va di fretta e che ormai scrive a mano pochissimo, parlare di calligrafia sembra un argomento obsoleto. In realtà è un’arte fatta di concentrazione e consapevolezza e ha un valore ancora più importante proprio perché ormai tutti scriviamo praticamente ormai solo mediante una testiera. Un calligrafo deve investire moltissimo tempo e lavoro per coltivare le proprie qualità interiori e trasmetterle sotto forma di pennellate, il cui obiettivo non è raggiungere la perfezione della forma, ma piuttosto fissare un momento. Infatti la calligrafia determina il tono di voce delle parole scritte, accentuando il significato di quanto si sta scrivendo. “Mi piace pensare a ogni opera come un pezzo unico – ci racconta – che comunichi, con le imperfezioni e le particolarità di un prodotto fatto a mano, stati d’animo ed emozioni. Ciascun cliente (aziende, privati, famiglie) usa le mie competenze per raccontare qualcosa di sé. Al di là dell’armonia definita già nel nome (dal greco “kallos” e “graphe”, ovvero “bella scrittura”) cerco di capire le persone che vengono in bottega e tradurre in segni le loro emozioni. Per esempio, ogni albero genealogico che creiamo è originale nella sua impostazione, nello stile e nella grafica, pensato e realizzato esclusivamente per la famiglia che lo ha commissionato. Ketty Agnesani è emiliana di nascita, ma milanese di adozione. Dopo 20 anni nel mondo della comunicazione, ha deciso di dedicarsi alla sua passione in modo professionale. Apre la bottega nel 2007 lungo il naviglio Martesana, in un ex convento del 1600; un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, non passano le macchine e si sentono i passi dei pedoni o le pedalate delle bici. 
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